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STORIA - Plutone, è lui o non è lui?

 Chi ha visto almeno una delle puntate del “Drive In”, un programma trasmesso da Italia1 dal 1983 al 1988, si ricorderà sicuramente di uno dei tanti tormentoni che Ezio Greggio era  solito ripetere e che faceva:  “è lui, o non è lui?           
Cerrrrrto che è lui!
Questa domanda se la posero anche gli astronomi subito dopo che Clyde Tombaugh scoprì Plutone nel febbraio 1930 e rimase un tormentone per molti anni. Plutone era l'oggetto che stavano cercando, quel corpo ritenuto responsabile   delle anomalie orbitali di Urano e Nettuno? Con il passare del tempo la comunità scientifica  risolse il dubbio  rispondendo con una buona dose di ragione: 
                                        “cerrrrrto che non è lui!”. 
Ma partiamo  dall'inizio. 
Percival Lowell aveva ipotizzato, al fine di poter giustificare le anomalie orbitali prodotte su Urano e Nettuno,  che il corpo perturbatore avesse una massa pari ad almeno 6,5 volte quella terrestre e di conseguenza dimensioni considerevoli. L'impossibilità di risolvere in visuale il disco di Plutone anche usando forti ingrandimenti e la luminosità con cui si presentava, inferiore rispetto alle attese, fece subito dubitare che  
fosse lui l'oggetto che si stava cercando.  
Neanche le ripetute osservazioni fatte da Carl Earl Slipher (il fratello di quel Vesto che ricopriva la carica di direttore all'Osservatorio di Flagstaff), partite subito dopo la scoperta di Plutone,  consentirono (anche con perfette condizioni di seeing) di risolvere il disco dell'oggetto, pur utilizzando il telescopio da 61 cm in dotazione all'Osservatorio.  
Fu così che Slipher concluse che l’oggetto  osservato avesse un  diametro angolare  pari  al massimo a 0,5 secondi d'arco e dimensioni paragonabili a quelle terrestri e assegnò a Plutone 
un diametro di 12.000 km. L'oggetto si presentò dunque fin da subito di modeste dimensioni 
e, ovviamente, anche la massa ne risultò ridimensionata. Venne quindi ipotizzata una massa 
simile a quella terrestre: un valore ritenuto minimo per riuscire a produrre perturbazioni    
orbitali su pianeti molto più grandi, come lo sono Urano e Nettuno. 
La maggior parte della comunità astronomica considerò subito l'ipotesi che Plutone non fosse 
l'oggetto giusto in quanto, oltre ad avere una massa di molto inferiore rispetto a quella      
ipotizzata da Lowell, l'oggetto scoperto da Tombaugh aveva caratteristiche molto diverse da 
quelle che ci si aspettava.  
Cominciò allora la ricerca del vero corpo perturbatore, di un nuovo pianeta che sarebbe   diventato il pianeta X (sigla appropriata in quanto esprimeva sia il numero del pianeta in caratteri romani che l'incognita per l'oggetto da trovare).  Buona parte del mondo scientifico si buttò in questa sfida.  
Vennero elaborati nuovi calcoli per ottenere la posizione dell'oggetto, basandosi questa volta soprattutto sul lavoro svolto da Flammarion e Forbes.  Questi astronomi  credevano che le comete periodiche tendessero a concentrare il loro  punto di afelio attorno alle orbite dei pianeti maggiori. Studiando tutti i dati in possesso sulle comete conosciute, sulle loro orbite e sui loro punti d'afelio, avrebbero potuto       
scoprire la probabile posizione del pianeta X. 
Anche l'Osservatorio dal quale era stato scoperto Plutone si buttò in questa ricerca ma, a differenza degli altri, non elaborò nuovi calcoli né prese in esame i dati sulle comete.  Continuando la tradizione, l'Osservatorio si basò sulla metodica e sistematica osservazione del cielo. Vesto Slipher incaricò Tombaugh di estendere le sue osservazioni a una zona molto più vasta di cielo, ma il suo lavoro, che si protrasse per ben 13 anni (dal 1930 al 1943), non diede alcun risultato.  
Nessun nuovo corpo (neppure minore di Plutone) fu mai scoperto e Tombaugh concluse che là fuori non esisteva    alcun pianeta più luminoso della magnitudine 16,5. La sua ricerca minuziosa avrebbe infatti potuto scoprire un pianeta delle dimensioni di Nettuno anche se si fosse trovato a sette volte la distanza di Plutone oppure un pianeta delle  dimensioni di Plutone situato oltre le 60 UA. Tombaugh ipotizzò che se fosse esistito davvero un pianeta, questo poteva essere sfuggito alla sua ricerca solamente per due motivi: o si muoveva su di un'orbita polare da lui non presa in esame, oppure in quel periodo il pianeta si trovava vicino al polo sud celeste e non era quindi visibile dalla sua postazione boreale d'osservazione.

Tombaugh in effetti aveva ragione: non esisteva alcun nuovo pianeta.  
Molto più tardi si scoprirà che le anomalie di Urano e Nettuno  erano soltanto apparenti perché derivate da errori di    calcolo prodotti dalle conoscenze imprecise che a quel tempo si avevano sull'orbita e la massa dei due pianeti gassosi. 
Sarà compito della Voyager 2 mettere la definitiva parola “fine” alla ricerca del pianeta X quando, nel 1989, raggiunto il pianeta Nettuno, fornirà dati più precisi sulle sue caratteristiche fisiche. 
Ma torniamo al nostro Plutone.
La supposizione proveniente dalle osservazioni di Carl Earl Slipher, e cioè che Plutone avesse dimensioni e massa simili alla Terra, durò un ventennio, ovvero fino a quando nel 1950 Kuiper e Humason le ridimensionarono grazie alle loro osservazioni in visuale fatte con quello che al tempo era il più grande telescopio esistente al mondo: il 508 cm di Monte Palomar.  
I due astronomi stimarono che Plutone avesse un diametro angolare di appena 0,23 secondi d'arco,  un valore che dimezzava di netto quelle di Slipher del 1930, stimando così un diametro di appena 5.800/6.000 km (dunque meno della metà della Terra). 
Le cose però continuavano a non tornare, anzi erano peggiorate!
Partendo dalle nuove dimensioni assegnate a Plutone da Kuiper ma  assumendo  che la  massa  del  pianeta  fosse  sempre   uguale  a  quella della Terra (ricordiamo che era il valore considerato minimo per giustificare le anomalie orbitali di Urano e   Nettuno, quelle anomalie che nel 1950 venivano ancora ritenute reali), si otteneva per il pianeta una densità molto   elevata: 10 volte superiore a quella terrestre, 60 volte superiore a quella dell'acqua e ben 2,5 volte quella dell'oro! 
Era chiaro che uno dei due dati (o il diametro o la massa) doveva essere per forza sbagliato. 
Parecchi anni più tardi, il diametro venne parzialmente confermato.  
Nella notte tra il 28 e il 29 aprile 1965, Plutone (qualora il suo diametro fosse stato uguale a quella della Terra) avrebbe dovuto occultare una stella del Leone. Il pianeta passò effettivamente vicino alla stella ma non la oscurò. La luce della stella non subì cali di luminosità e questo diede almeno una conferma: quella che il diametro di Plutone non poteva  essere superiore ai 6.400 km. Venne assunto dunque che il suo  diametro fosse di circa 6.000  km, come stimato da  Kuiper nel 1950. Questo valore rimase in auge per diversi anni, esattamente fino al 1978, anno in cui venne scoperto Caronte. 
Venne allora verificato il secondo dato, la massa. Alcuni astronomi dell'Osservatorio Navale USA intrapresero un  lavoro certosino. Riesaminarono tutte le  osservazioni fatte su Nettuno a partire dal momento della sua scoperta e vi aggiunsero quelle fatte dal loro istituto nel periodo dal 1960 al 1968. Presero poi in esame le masse di Saturno, di Urano e di Nettuno e, utilizzando nuove e migliori procedure di analisi dei dati, riuscirono a ridurre grandemente il numero delle perturbazioni da giustificare.  
Questo enorme lavoro portò ad una sconcertante conclusione: Plutone aveva una massa pari a 1/10 di quella terrestre. 
Assumendo allora il diametro stimato di 6.000 km ed il nuovo valore della massa, ipotizzarono che  Plutone avesse una 
densità pari a 0,88 volte quella terrestre; un valore più ragionevole rispetto al precedente. E allora ci si chiese: ma se la massa di Plutone è un decimo di quella terrestre e non 6,5  volte come ipotizzato da Lowell, come è stato possibile scoprirlo sulla base di calcoli che erano stati fatti utilizzando dati fortemente imprecisi?  Semplicemente un caso! 
Dovrà passare ancora una decina d'anni per fare  piena luce sulle reali caratteristiche di  Plutone. 
Una scoperta importante porterà infatti a ridimensionare ulteriormente il diametro e la massa (e di conseguenza anche la densità) di Plutone, a riprova ulteriore della grande imprecisione dei valori ipotizzati da Lowell nei suoi calcoli. Ma per questo bisognerà aspettare il luglio 1978, quando gli astronomi Christy e Harrington, utilizzando il telescopio riflettore da 152 cm dell'Osservatorio Navale di Washington, scopriranno Caronte. 
Quasi un anno prima, nell'agosto del 1977, era partita la Voyager 2, proprio quella sonda americana che, raggiunto Nettuno nel 1989, darà conferma dell'inesistenza di quelle  perturbazioni orbitali di Urano e Nettuno credute reali per molto tempo. 

Ecco allora che la nostra domanda iniziale, alla fine, ha trovato la sua risposta. 
Il corpo perturbatore, quello che per  decenni gli astronomi hanno tentato di trovare per dare una giustificazione alle anomalie orbitali di Urano e Nettuno, non è sicuramente Plutone: non essendoci anomalie da giustificare non ci sono corpi perturbatori da trovare. 
Per quanto riguarda invece Plutone, col passare del tempo, diventerà sempre più oggetto di un'accesa discussione volta a decidere se considerarlo pianeta a tutti gli effetti, oppure no. 
Questo è un altro bell'argomento su cui discutere... 

Walter Pilotti

Data creazione : 08/05/2011 - 16:53
Ultima modifica : 08/05/2011 - 16:53
Categoria : STORIA
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